Proposto per il Premio Strega 2020 da Paolo Di Stefano - Finalista al Premio Wondy per la letteratura resiliente 2021
Siamo ospitati con garbo, senza patetismi, dentro una storia che diventa quasi nostra e che dice, fra strazio e calore, quanta vita c'è oltre lo strappo del vuoto.
«Un libro vibrante, commosso, la cui materia è toccata misteriosamente dalla grazia poetica» – Il Venerdì
«Le confidai che l'unica cosa in cui pensavo di non aver fallito in tutta la mia vita era stata quella di proteggere mia moglie nel periodo della malattia, accompagnarla verso la morte»
Dentro la piccola comunità di un borgo dell'Italia centrale, dentro l'incombente senso di vuoto che segue la stagione felice dell'amore e dell'impegno politico, dentro le piccole cose della vita famigliare entra la grandezza devastante della morte. Patrizia, la moglie di Angelo, muore a soli 42 anni. Lui, ossessionato dai fallimenti, economici e morali, si muove incerto nel nuovo presente. Son passati dieci anni ma la memoria torna alla malattia, a come si è manifestata, a come ha dettato il suo protocollo. La narrazione mescola, per piani sfalsati, l'esperienza del dolore e quella della ricostruzione, l'apparire di una nuova figura femminile e l'asfissia provinciale, le fughe, i ritorni e la smemorante esperienza alcolica. Angelo Ferracuti insegue con pazienza i fatti, la cruda cadenza dei fatti, torna alle forme del desiderio, dell'intesa, dei silenzi, e di una nuova ritrovata complicità.
Proposto per il Premio Strega 2020 da Paolo Di Stefano: «Aspra è la sostanza umana de "La metà del cielo" (Mondadori), un libro fra il memoir autobiografico e il romanzo di formazione nel cui centro si accampa la figura di Patrizia, moglie dello scrittore, troppo presto perduta. Non si tratta solo della dolorosa elaborazione di un lutto ma anche della restituzione di una modalità di esistere con gli altri a fronte di un presente desertificato, perché il ricordo di Patrizia si iscrive in un preciso spazio-tempo, l'Italia di fine secolo, l'età del cosiddetto antagonismo vista da un luogo periferico, Fermo, che Ferracuti chiama "la piccola città", un microcosmo ostile o indifferente. Un ritmo interiore ne scandisce la scrittura e il pudore le dà forma: è questo il suggello di una materia talora indicibile e però toccata dalla poesia.»