La periferia romana dove sorge la scuola che è al centro di questo romanzo è la Rebibbia raccontata da Zerocalcare. Nel liceo si parla romano, e le aule sono abitate da strani esseri viventi: alcuni disegnati sui muri, alcuni umani ma dalle cui bocche escono suoni incomprensibili alla professoressa, che non ha mai pensato di avere la vocazione all’insegnamento e invece ce l’ha, solo che non è una vocazione, è un mestiere. La professoressa, infatti, non ama la vocazione, ama l’inglese. La professoressa è un’intellettuale. La professoressa ha studiato in Italia e all’estero. La professoressa cammina, cammina, cammina perché Roma è grande e perché camminando pensa. Gli studenti e le studentesse, invece, non camminano, vanno in motorino o in macchina, e non studiano. Gli studenti e le studentesse – e tutti lo siamo stati – sanno valutare, pesare le persone che siedono dietro la cattedra e, nonostante non abbiano voglia di aprire i libri, sentono, piano piano, il desiderio di capire la professoressa, e di esserne capiti. Danilo Dolci ha scritto che si cresce solo se sognati, e l’autrice di questo romanzo chiosa che si può crescere anche se sei l’incubo di qualcuno. Tra i professori di Frank McCourt e Domenico Starnone, passando per gli studenti in piedi sul banco nell’Attimo fuggente, sta la professoressa di Gaja Cenciarelli, convinta sì che la cultura sia qualcosa di quotidiano, convinta sì che certe parole dialettali o certe squadre di calcio, certe sigarette fumate insieme agli studenti prima che la lezione cominci facciano parte del lavoro di chi insegna e di quello di chi impara, ma disillusa che l’istruzione possa – come si sente dire spesso – salvare il mondo. Ciò nonostante, in questo romanzo di Shakespeare e spaccio, la professoressa il mondo lo salva. Perché il mondo è le persone che incontriamo. Specialmente a scuola.
Proposto da Lorenzo Pavolini al Premio Strega 2023 con la seguente motivazione:«Presento al premio Strega 2023 il romanzo di Gaja Cenciarelli, Domani interrogo (Marsilio) perché restituisce all’avventura dell’insegnamento tutta la appassionata e disperata urgenza dei nostri giorni, come pochi libri hanno saputo fare nella pur sconfinata produzione sul tema, spingendosi oltre nella rappresentazione della classica alternativa tra professione o missione. Ci riesce per la qualità della scrittura, le doti di sintesi, rapidità e precisione, ci riesce facendo coincidere la narratrice protagonista del romanzo, una professoressa d’inglese di una quinta liceo, considerata la classe più difficile di un istituto tecnico in una zona periferica di Roma, con la scuola stessa, corpo ed edificio, persona e istituzione, e soprattutto ci riesce perché racconta la scuola come il luogo di uno scambio ancora possibile, attraverso la parete della lingua, che si fa porosa, messa in comune, bistrattata, più volte abbattuta e rinnalzata, ma sempre attiva nell’esprimere il punto di massimo scontro, e anche di commistione e confusione tra adulti e ragazzi. Nel romanzo di Gaja Cenciarelli fragilità e paura di non farcela sono ampiamente redistribuite tra la protagonista e i ventisei ragazzi della sua classe, di cui di il lettore impara a conoscere tutto quello che si può conoscere, rendendo un anno di insegnamento non soltanto il passaggio cruciale verso l’abisso, ma lo spazio vitale in cui crescere e ritrovarsi.»