Antonin Artaud nacque a Marsiglia nel 1896 e morì a Ivry-sur-Seine nel 1948. Fu scrittore, poeta, attore teatrale e cinematografico. Iniziò la sua carriera sul palcoscenico con Dullin e in seguito, per molti anni, fu vicino a Jouvet e a Barrault. Apparve molto spesso sullo schermo tra il 1924 e il 1935, in film francesi e tedeschi (memorabile la sua interpretazione nella Giovanna d’Arco di Dreyer). È autore di un testo, Il Teatro e il suo Doppio, che teorizza un ribaltamento completo dei fondamenti dell’arte drammatica. Le sue idee in questo campo, la sua intuizione di un nuovo linguaggio scenico, hanno esercitato una notevole influenza sul teatro contemporaneo, e continuano a esercitarla, come è dimostrato dal recente affermarsi di quel «teatro della crudeltà» di cui egli è il diretto ispiratore. Artaud partecipò inoltre al movimento surrealista, a cui fornì i testi più spregiudicati e radicali. Nel 1936 abbandonò il teatro per compiere un viaggio al Messico che costituì l’avvenimento decisivo della sua vita. Il ritorno in Francia, un anno più tardi, segnò la rottura con «questo mondo, in cui, a parte il fatto di avere un corpo, di camminare, di coricarsi, di vegliare, di dormire, d’essere nell’ombra o nella luce (e anche la luce è dubbia), tutto è falso». È una rottura, ma soprattutto una ribellione, un rifiuto sistematico di ogni realtà concreta, che lo condurrà, dopo un breve soggiorno in Irlanda nel 1937 e una serie di avvenimenti rimasti misteriosi, a essere internato per alcuni anni come pazzo. La sofferenza, le privazioni di questo periodo, durato fino al 1945, contribuirono a rendere più esacerbate e violente le ultime manifestazioni di un’introspezione che egli conduceva da anni con insolito rigore.
La raccolta che presentiamo contiene la testimonianza più sconvolgente che Artaud ci abbia lasciato: gli scritti sul suo soggiorno al Messico, fra le tribù primitive dei Tarahumara, e sulla sua iniziazione al rito del peyotl. Completano il volume sei altri testi essenziali, che forniscono al lettore la traccia per seguire, nella sua drammatica parabola, la vita di un uomo d’eccezione. In questi scritti bisogna vedere altrettanti documenti di una ricerca che resta al di fuori della «letteratura», altrettante testimonianze della lotta intrapresa da Artaud per mutare radicalmente la propria esistenza, soggetta a troppo gravi mutilazioni. Per Artaud patire fino in fondo le proprie debolezze fisiche e psichiche, «una erosione mentale» sentita come malattia, è l’unica strada per tentare di raggiungere quell’arricchimento della coscienza che potrebbe permettergli di intervenire sulla propria vita. Egli vuole esaurire tutte le possibilità che ci sono date di conoscerci per mezzo del corpo, e la sua perlustrazione diventa, attraverso la scrittura, una specie di bollettino di guerra, una guerra per conquistarsi il diritto di mettere al mondo se stesso, cioè il proprio vero essere.
Siamo così posti di fronte a un’esperienza assolutamente autentica, che illumina con dolorosa crudezza la situazione di un uomo del nostro secolo che non intende scendere a compromessi né con l’arte né con la vita, un’esperienza la cui unicità appare, col tempo, sempre più evidente. Ne sono prova la pubblicazione delle sue «Opere complete» (che, eccezionalmente, l’editore Gallimard programmò quando l’autore era ancora in vita), e i costanti echi suscitati nella giovane critica francese – anche per la mediazione di Maurice Blanchot – e nella più vivace letteratura contemporanea, soprattutto americana.