Amicizie e potere sul fine Medioevo: i Castriota di Atripalda e altri casi di Eliseo Danza da Montefusco e Nicolò Franco beneventano e diplomatico a Roma ma perseguitato dal papa per eresia
Virgilio Iandiorio
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Editore: |
ABE
|
Collana: |
Dissertazioni & conferme
|
Codice EAN: |
9788872974872
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Anno edizione: |
2024
|
Anno pubblicazione: |
2024
|
Dati: |
128 p., brossura
|
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"Il rapporto che si stabilisce con la città, o il paese, d'origine non è sempre scontato. Si va via da esso e poi si ha voglia di ritornarvi. Il rimanere stabilmente in un posto, a volte assume il sapore di un domicilio forzato; per cui si ha voglia di andare via. Il luogo di nascita, di residenza o di domicilio è parte di noi, ne siamo formati e ne riceviamo le impronte. Quando un luogo è magnificato da quelli che non vi sono nati o che non ci vivono stabilmente, la lode acquista un valore doppio. Perché, si presume, fatta senza motivi affettivi (un figlio che ami i genitori è la regola), senza altri interessi velati o palesi, la lode di un estraneo, di un forestiero, è più significativa e importante di quella di un abitante. Ho suddiviso questo lavoro in due parti: 1) la lode della città di Atripalda, fatta dall'avvocato Eliseo Danza nella prima metà del XVII secolo; 2) le lettere di Nicolò Franco indirizzate, nella prima metà del XVI sec., a Costantino Castriota, marchese di Atripalda, a testimonianza degli interessi culturali che coinvolgono non solo quella nobile famiglia, ma anche la città. Nell'una e nell'altra parte, l'attenzione è rivolta alla città sul fiume Sabato. La sorte non fu benevola con i Castriota di Atripalda, perché nello spazio di mezzo secolo finirono tutti i discendenti. Le lettere di Nicolò Franco, ci restituiscono un personaggio che fece parlare di sé nella difesa di Malta dai Turchi; non solo, ma anche per i suoi interessi letterari testimoniati dalle sue pubblicazioni. Cinque secoli fa, il poeta e scrittore beneventano Nicolò Franco, per intingere la sua penna nella satira contro famiglie potenti del suo tempo, finì non in tribunale ma sulla forca a Roma per oltraggiose offese. Nel suo epistolario, raccolta di lettere su vari argomenti indirizzate a personaggi noti e meno noti, un genere letterario molto in voga nel secolo XVI, l'autore beneventano ne scrive una indirizzata alla Lucerna, la lampada ad olio, con la preghiera di illuminare la sua esistenza con la luce della sapienza e della verità: "Deh cara lucerna mia, se iniquo vento non spiri mai contrario a la tua luce, e se con la vista ci sia concesso da i fati sormontare al cielo, al pari del più rilucente occhio, che tiene il giorno". E dalla Lucerna il poeta riceve una lunga risposta. La Lucerna, cioè Nicolò Franco, narra il suo viaggio non nei regni dell'oltretomba, alla maniera di Dante, ma sulla terra, dove l'Inferno, il Purgatorio e il Paradiso si ritrovano nelle forme quotidiane della vita. In questo viaggio nel mondo notturno, la Lucerna incontra per prima le donne, muse ispiratrici dei poeti, ma di bellezza solo esteriore. Che dire degli osti, dei sarti, dei mercanti. Ma la lista è lunga. Ci sono tutte le categorie sociali a combinare nottetempo imbrogli nelle loro attività. Il potere politico con in testa Carlo V e una schiera di nobili, uomini e donne, amici stimatissimi del poeta. Ma è all'altra schiera, quella guidata dall'eternità e dalla fama, che il poeta si indirizza. "La leggenda lavora, anche in maniera inconsapevole, sul dato storico o sociale per innalzarlo a valore rappresentativo del gruppo in cui prende forma. Non avere "lègende" è come non avere più una identità, non avere un'anima, non avere aspirazioni. Patrice De La Tour Du Pin, volutamente mette la "leggenda" accanto alla gioia. Come la gioia che provava Eliseo Danza nel tessere le lodi di Atripalda, ricercandole nella storia della città; e Nicolò Franco nel coltivare l'amicizia con il marchese Castriota. V. I." (l'autore). Con brani e lettere tradotti dal latino.